Campus Bocconi Milano. Di cosa sono fatte le nuvole

Il campus Bocconi di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa (SANAA) è l’ultimo grande monumento di architettura sostenibile a Milano e in Italia: case / fiori nate dopo una lunga e complessa pianificazione

Stefano Casciani

Capita raramente di partecipare alla gestazione di un progetto architettonico e urbanistico centrale nello sviluppo di una metropoli europea come Milano. Eppure così è accaduto a chi scrive, in circostanze che hanno radice nei lunghi anni alla direzione della rivista domus, cui sono stato chiamato a collaborare da Deyan Sudjic, esattamente ventidue anni fa.

Il grande progetto è quello del nuovo Campus dell’Università Bocconi, senza dubbio la migliore operazione degli ultimi anni per la rigenerazione del territorio urbano milanese, con un’architettura di grande qualità espressiva e coerenza formale: un organismo logico e unitario che contrasta con il disordinato sviluppo di altre aree di Milano, recentemente oggetto di interventi immobiliari, caotici, scoordinati e privi di qualsiasi identità architettonica originale.

Il Campus è anche il complesso ad uso pubblico più grande costruito ultimamente in zone centrali come quella dove si trova già la sede originale dell’Università Bocconi (opera dell’architetto/eroe della Resistenza Giuseppe Pagano), che negli anni si è estesa dalla storica Porta Ludovica fino a Via Castelbarco/Viale Tibaldi.

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Qui si trovava l’ex-Centrale del Latte che l’Università Bocconi rileva nel dicembre 2006 dal Comune di Milano: dismesso lo storico insediamento produttivo, molto caro ai Milanesi, si era liberata una area vastissima, circa 35.756 mq, in una zona di importanza strategica per l’equilibrio ambientale e urbanistico della città. Si colloca infatti all’intersezione tra alcuni dei progetti che il PGT (Piano generale del Territorio) prevede per restituire all’uso pubblico e al riequilibrio ambientale una vasta parte della città.

Si trattava di recuperare ampie parti del territorio urbano preesistente, con destinazione in origine prevalentemente industriale (come era già accaduto per il complesso progettato da Grafton Architecs), particolarmente critiche dal punto di vista ecologico e dell’equilibrio tra preesistenze e nuove costruzioni.

Per scelta strategica l’Università Bocconi interviene qui con l’obiettivo della massima qualità ambientale, in termini di sostenibilità, efficienza energetica e qualità di vita degli abitanti.

La pianificazione e il concorso internazionale

Fin dagli studi preliminari per un Master Plan dell’area ex-Centrale, la Bocconi riconosce l’opportunità di realizzare qui una grande estensione del campus esistente, per arricchire le attività di formazione e i servizi a studenti e docenti e insieme consentire al pubblico di riappropriarsi dell’area come parte integrante di un nuovo sistema del verde. Anche nella fase di studio per il concorso, si trattava di creare un brief che portasse non solo a poter scegliere tra le proposte più interessanti sotto il profilo formale e funzionale, ma condurre a un vero e proprio progetto di riqualificazione urbana per determinare il nuovo assetto della zona, prefigurando l’impatto del grande intervento sull’area e il quartiere.

L’obiettivo era creare un nuovo Campus che riunisse le attività culturali e formative dell’Università con quelle sportive e di svago che mirano al benessere del cittadino. Così nella stessa area sorgono gli edifici per:

  • la nuova SDA School of Management,
  • una residenza per studenti e visiting professors da 300 posti letto,
  • un centro fitness,
  • due palestre,
  • una piscina olimpica da 50 metri ed una piscina da 25 metri,
  • un parco pubblico di circa 15.000 mq
  • altri 4000 mq di verde all’interno delle costruzioni.

Il brief per il concorso internazionale che l’Università istituisce per assegnare il progetto è molto complesso (ai progettisti invitati verrà fornito un documento di 64 pagine), il tema di concorso molto ricco, articolato su diversi fronti tecnici e scientifici. Da una parte si è inteso sviluppare le strategie ambientali già iniziate con il complesso su Via Röntgen (progettato da Grafton Architects, un clamoroso successo funzionale e critico), così da ottenere negli edifici l’autosufficienza energetica e i valori di emissioni zero, secondo una visione integrale della sostenibilità.

Dall’altra parte pesava sull’intervento la grande questione urbanistica di come creare ex-novo un complesso di costruzioni e di verde in un’area relativamente concentrata, un pezzo di città dove riprodurre l’ideale di un’architettura civile che riabilita il contesto ed è quindi al servizio di tutta la comunità.

Al concorso vengono invitati a partecipare gli architetti che più hanno dimostrato la capacità di riunire esperienza nelle costruzioni, innovazione formale e visione urbana. Con gli italiani Cino Zucchi, Massimiliano Fuksas e Mario Cucinella, partecipano l’inglese David Chipperfield, l’olandese Rem Koolhaas (OMA), lo studio tedesco Sauerbruch Hutton, la francese Odile Decq, l’italo-spagnola Benedetta Tagliabue (EMBT), l’americano Thom Mayne (Morphosis), i giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa dello studio SANAA. Bandito il concorso nel 2011, gli elaborati vengono presentati e discussi dai progettisti nel 2012 davanti a una prestigiosa Giuria Internazionale. Presieduta da Sir Peter Cook, ha tra i suoi partecipanti le Grafton Architects Shelley Mc Namara e Yvonne Farrell, l’allora direttore del Design Museum di Londra Deyan Sudjic, la ex-direttrice del Pritzker Prize Martha Thorne, il docente del Politecnico di Milano Federico Oliva, insieme a Guido Tabellini e Bruno Pavesi, rispettivamente allora allora rettore e consigliere delegato, in rappresentanza dell’Università Bocconi, io stesso.

Con la Giuria siamo stati unanimi nel nominare vincitore, il 7 luglio 2012, il progetto di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa (SANAA), con precise motivazioni:

“Il progetto dello studio SANAA rappresenta la migliore interpretazione delle diverse e complesse esigenze prefigurate nel bando di concorso, introducendo allo stesso tempo interessanti variabili compositive, formali e concettuali, destinate a fare dell’intervento un nuovo modello di landmark: un segnale urbano che con la sua identità decisamente innovativa, data dall’impiego di soluzioni costruttive tanto essenziali quanto affascinanti, entra in dialogo con gli insediamenti già esistenti, sia quelli del complesso Bocconi che quelli delle residenze storiche dell’area. In particolare, la giuria rileva la capacità dello Studio SANAA nel ridefinire il concetto di campus come elemento integrante del tessuto urbano, con un insieme di edifici unitario, organico, non invasivo e contemporaneamente aperto – fisicamente e visivamente – al contesto.

 

Questa caratteristica di apertura del progetto (…) assume particolare significato nella necessaria valorizzazione dell’intervento, destinato a essere il più importante insediamento del prossimo decennio tra il tessuto storico dell’urbanizzazione novecentesca e quello generato dal recente, frammentario sviluppo della zona di Milano posta oltre il limite Sud dell’area di concorso.”

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La visione e l’opera di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa

L’opera costruita, che già nel progetto di concorso bene affronta tutte le questioni della sostenibilità individuate dall’Università Bocconi, si propone in questo senso come patrimonio comune per Milano: sia perché concretamente usufruibile – in parte – da tutta la cittadinanza, sia perché rappresenta l’idea dell’Università stessa come “fabbrica del sapere”, da cui l’intera comunità può avvantaggiarsi come simbolo e come concreta realtà. In questo senso la giuria raccomanda, nelle successive fasi della progettazione e nella realizzazione del nuovo campus, la massima attenzione a rendere le aree a verde il più possibile permeabili all’uso pubblico, che pure già trova soddisfazione nel progetto con le interessanti rica a nord (il Parco delle Basiliche San Lorenzo e Santo Stefano) fino, a sud, al parco della Vettabbia e a quello delle memorie industriali ex-OM.

Il progetto paesaggistico sviluppato da SANAA valorizza quindi il nuovo Campus come luogo d’incontro tra attività universitaria e vita cittadina, rendendolo permeabile e interamente percorribile per via pedonale, attraverso le vaste aree a verde aperto al pubblico. Tutto il lungo lavoro di affinamento del progetto vincitore del concorso viene gestito dalla Bocconi con il ruolo fondamentale del geometra Nicolò De Blasi, fino al 2020 coordinatore del progetto come responsabile logistica, infrastrutture e acquisti dell’università Bocconi.

Sono così state anche soddisfatte le richieste venute dall’Amministrazione comunale, con l’aumento delle dotazioni di aree a Parco, in linea con quanto stabilito dal PGT milanese.
Le superfici a verde fanno anche da segnalazione degli edifici in cui si svolgono le funzioni e le attività didattiche e scientifiche, con un buffer di verde a prato, arbusti e alberature isolate, che le scherma e al contempo le indica agli utenti.

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Naturalmente questa importante reinvenzione paesaggistica dall’area è funzionale anche a creare un dialogo tra il verde pubblico e gli edifici del Campus. Questi „parlano“ un linguaggio architettonico che esprime leggerezza e trasparenza dei corpi di fabbrica, progettati con una conformazione ad anello, così che da un lato il loro perimetro esterno si affaccia verso la città e il Parco, mentre verso l’interno le corti formano un ambiente anch’esso naturale e trattato a verde.

Camminando lungo i corridoi degli edifici è possibile volgere lo sguardo sia sul lato esterno che su quello interno, in un‘ideale continuità tra lo spazio della città storica e quello della corte. Come pure chi cammina lungo le vie che circondano il Campus, oppure attraversando l’area verde, può intravedere la successione delle diverse „quinte scenografiche“: edifici, corte e poi ancora edificio e il verde.

Il progetto è impostato su corpi di fabbrica ridotti, che garantiscono agli interni l’esposizione alla luce e offrono ampie aperture sulle corti a verde. Si ottimizza così anche la ventilazione naturale e si riduce l’impiego soluzioni individuate per il complesso sportivo.

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La colta interpretazione del brief Bocconi, l’integrazione tra ambiente naturale e costruito, tra verde e costruito ha nel progetto di Sejima e Nishizawa uno dei suoi fondamentali punti di forza. Gli edifici del nuovo campus si sviluppano su un’altezza massima di 4 piani, (esclusa la torre dei dorms per studenti e visiting professor che raggiunge i 10) hanno profondità ridotte e si sviluppano con andamento curvilineo “ad anello chiuso”, così da far apparire il campus come un giardino incastonato di case/fiori preziose e accoglienti.

La metafora della natura ritorna in tutto il progetto e in particolare nei materiali di rivestimento e finitura, che sottolineano la trasparenza come qualità simbolica e reale dell’architettura. Per facilitare il condizionamento naturale degli ambienti, le grandi superfici vetrate curve sono protette da una mesh metallica, una speciale rete ingegnerizzata e prodotta ad hoc – anche per seguire le complesse curve e controcurve degli edifici ideati da Sejima e Nishizawa – che di giorno filtra la luce solare e alla sera lascia intravedere le luci artificiali e l’intensa attività del prossimo decennio tra il tessuto storico dell’urbanizzazione novecentesca e quello generato dal recente, frammentario sviluppo della zona di Milano posta oltre il limite Sud dell’area di concorso.”

La visione e l’opera di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa L’opera costruita, che già nel progetto di concorso bene affronta tutte le questioni della sostenibilità individuate dall’Università Bocconi, si propone in questo senso come patrimonio comune per Milano: sia perché concretamente usufruibile – in parte – da tutta la cittadinanza, sia perché rappresenta l’idea dell’Università stessa come “fabbrica del sapere”, da cui l’intera comunità può avvantaggiarsi come simbolo e come concreta
realtà.

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In questo senso la giuria raccomanda, nelle successive fasi della progettazione e nella realizzazione del nuovo campus, la massima attenzione a rendere le aree a verde il più possibile permeabili all’uso pubblico, che pure già trova soddisfazione nel progetto con le interessanti che ancora si svolge all’interno degli edifici.

Anche nel contesto edilizio variegato ed eclettico dell’area – dalle basse villette lungo Via Castelbarco agli edifici d’abitazione anteguerra su Via Sarfatti – la leggerezza e insieme la forza unitaria delle case/fiori di Sanaa risaltano come “ricucitura” della grande ferita che per tanti anni è rimasta aperta nel tessuto urbano dell’area, almeno da quando la Centrale del Latte è stata smantellata.

Il nuovo Campus Bocconi a regime risulta un sistema articolato di spazi dedicati a verde urbano e di quartiere, compreso fra due parchi urbani, il Parco Baravalle e il Parco Ravizza, a loro volta collocati su un ideale asse trasversale ambientale e paesaggistico che include la nuova Darsena e il Naviglio, e ad est il Parco di Porta Romana, di prossima realizzazione all’interno del programma di recupero degli ex-Scali ferroviari. Anche in direzione nord–sud, il Campus Bocconi rappresenta un importante tassello della rete ecologica e ambientale, sull’asse che va dalla città stodi illuminazione e aerazione artificiale.

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I diversi nuclei sono in alcuni punti tangenti tra loro, così da creare agevoli passaggi tra gli edifici. Una volta all’interno, è possibile intravedere l’intero complesso architettonico: gli edifici che si ergono su portici permeabili, la poetica sequenza di leggere colonne portanti, stanze trasparenti, alberi e prati.

Oltre a questa indispensabile “ricucitura” del territorio urbano con edifici di grande qualità formale, la risoluzione dell’urgenza ambientale rimane l’altro grande obiettivo che l’Università ha raggiunto con il completamento del nuovo Campus attraverso l’autosufficienza energetica, l’abbattimento a zero delle emissioni nocive, un sistema integrato di condizionamento misto naturale/artificiale, la riduzione della grey energy (quella che si nasconde nei processi di produzione e trasporto di materiali attraverso distanze eccessive) e un water management attento al recupero della falda della zona.

Su questa linea, il progetto mirava anche al recupero del paesaggio milanese caratterizzato dalle vie d’acqua, con naturalmente questa importante reinvenzione paesaggistica dall’area è funzionale anche a creare un dialogo tra il verde pubblico e gli edifici del Campus. Questi „parlano“ un linguaggio architettonico che esprime leggerezza e trasparenza dei corpi di fabbrica, progettati con una conformazione ad anello, così che da un lato il loro perimetro esterno si affaccia verso la città e il Parco, mentre verso l’interno le corti formano un ambiente anch’esso naturale e trattato a verde.

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Camminando lungo i corridoi degli edifici è possibile volgere lo sguardo sia sul lato esterno che su quello interno, in un‘ideale continuità tra lo spazio della città storica e quello della corte. Come pure chi cammina lungo le vie che circondano il Campus, oppure attraversando l’area verde, può intravedere la successione delle diverse „quinte scenografiche“: edifici, corte e poi ancora edificio e il verde.

Il progetto è impostato su corpi di fabbrica ridotti, che garantiscono agli interni l’esposizione alla luce e offrono ampie aperture sulle corti a verde. Si ottimizza così anche la ventilazione naturale e si riduce l’impiego la riapertura parziale del canale Vettabbia che ancora oggi scorre sotto Via Castelbarco e che sarebbe tornato a lambire il campus proprio nel fronte sulla stessa via. Lungaggini burocratiche e l’incomprensione delle amministrazioni pubbliche verso questo omaggio all’antico paesaggio milanese alla fine non hanno reso possibile la creazione di questa piccola “via d’acqua”

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